IL DAL MOLIN. L'architetto tedesco Kipar in visita con il sindaco sul lato est dell'ex aeroporto
Il paesaggista che ha riprogettato l'ex scalo di Hitler: «È un'area che non va riempita ma vissuta. Un'occasione unica per la città»
Vicenza come Berlino. Il lato est del Dal Molin come Tempelhof, l'aeroporto di Hitler nel cuore della capitale tedesca. Sulla vasta area dove un tempo atterravano gli aerei, migliaia di persone a godere di uno spazio reso pubblico, aperto ai bambini sui pattini, ai nonni in bicicletta, alle coppie a braccetto. Da zona off-limits a parco della pace.Per ora è “solo” un'idea. Una visione. È quella del sindaco Achille Variati, che potrebbe diventare realtà grazie al contributo dell'architetto tedesco Andreas Kipar, il paesaggista che sta trasformando Tempelhof in parco pubblico e che ieri è “sceso in pista” al Dal Molin: «Bisogna entrarci per capire quant'è grande quest'area - dice in perfetto italiano, dopo il sopralluogo con gli amministratori comunali -. E per capire che qui al Dal Molin il parco esiste già: basta resistere alla tentazione di riempire quel vuoto, uno spazio irripetibile per il paesaggio del Nordest».
IL SOPRALLUOGO. L'architetto Kipar, uno dei nomi di spicco tra i paesaggisti europei, non ha attualmente alcun contratto con il Comune. È la seconda volta, però, che il sindaco lo incontra nell'ambito di un percorso di riflessione sul progetto del parco della pace. E ieri c'è stata la prima visita sul campo. Con lui,all'ex aeroporto, c'erano il primo cittadino, gli assessori Antonio Dalla Pozza (Ambiente) e Giovanni Giuliari (Pace), il capo di gabinetto Jacopo Bulgarini d'Elci, i dirigenti comunali al verde pubblico e all'ambiente, e il progettista Flavio Albanese.In attesa che il governo esca dalle secche e che Stato, Comune, Provincia e Regione possano mettere la firma sull'accordo sulle “compensazioni”, Variati prova ad imprimere la rotta.
IL PARCO C'È, COSTI MINIMI. «Quando mai capita ad una città come Vicenza di poter disporre di uno spazio verde di queste dimensioni?». Brillano gli occhi all'architetto Kipar a sopralluogo ultimato. Non sono i 200 ettari di Tempelhof, ma i 60 del lato est del Dal Molin «sono un'area in proporzione ancora più vasta». La sua filosofia è semplice. Primo: «Scordarsi i parchi-giardini di stampo otto-novecentesco». Secondo: «Riutilizzare l'esistente» perché «in realtà il parco esiste già, bisogna solo farlo vivere, aprirlo alle persone». Un frammento di pista diventa un viale: «Immaginate mille bambini che pattinano là sopra». L'area verde può accogliere le famiglie: «Immaginate 150 sdraio e un tendone e, sotto, un po' di musica». E poi il laghetto, prati da curare e altri da lasciare allo stato naturale. Il tutto su un'area di Vicenza che i vicentini non conoscono. Ma il senso del progetto è anche economico: «Il parco della pace costa poco - dice Kipar -. Basterebbe un «limitato budget di gestione». Quanti giardinieri? «Al parco non serviranno tanti giardinieri, ma tante persone che lo vivono».
APRIRE AI CITTADINI. E proprio dai cittadini potrebbe partire il progetto. «A Berlino, prima di decidere la trasformazione in parco, l'aeroporto fu aperto alla gente - ricorda Kipar -. Da allora, dopo che i cittadini toccarono con mano, il consenso al progetto è esploso». Un percorso che stuzzica il sindaco: «Cercherò di creare dei momenti in cui i vicentini abbiano la possibilità di entrare in quel luogo, di viverlo, di camminarci: poi ne riparleremo». Variati è consapevole che sull'area ci sono anche altre idee, come quella di ospitare un centro di protezione civile. «Tutte le idee sono legittime - osserva - ma se si tocca con mano quell'area si capisce qual è la strada. Ha ragione l'architetto: il parco c'è già, non bisogna avere la smania di riempirlo». Vicenza come Berlino. Ma in un Nordest superurbanizzato c'è spazio per un approccio culturale come quello berlinese? «È una bella sfida - risponde Kipar - Vicenza potrebbe aprire uno spazio di sperimentazione, un parco-laboratorio che “rompa” con le città codificate. Bisogna evitare due mali: l'indifferenza rispetto all'eccezionalità della situazione; e la banalità, quella che fa dire: “cosa vuoi che sia...”. L'occasione è irripetibile».
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