martedì 18 agosto 2009

Immigrati: Bankitalia, cresce presenza ma non tolgono lavoro a Italiani

Di seguito all'articolo comparso su tutti i siti di informazione nazionale (qui è riportato quello apparso su Asca), l'estratto dal rapporto della Banca d'Italia "Economie regionali. L'economia delle regioni italiane nell'anno 2008".

http://www.asca.it/copertina-IMMIGRATI__BANKITALIA__CRESCE_PRESENZA_MA_NON_TOLGONO_LAVOROA_ITALIANI-1733.html

IMMIGRATI: BANKITALIA, CRESCE PRESENZA
MA NON TOLGONO LAVORO A ITALIANI

La crescita della presenza straniera non si e' riflessa in minori opportunita' occupazionali per gli italiani, che sembrano invece accrescersi per i piu' istruiti e per le donne. Lo afferma uno studio della Banca d'Italia contenuto all'interno del rapporto sulle economie regionali del 2008.Le nuove generazioni di stranieri, che rappresenteranno una componente rilevante della futura forza lavoro nel Paese, registrano significativi tassi di abbandono scolastico e un livello di competenze inferiore a quello, gia' modesto nel contesto internazionale, degli italiani.Le difficolta' scolastiche degli stranieri sono piu' accentuate nel Mezzogiorno. Il processo di integrazione economico e sociale degli immigrati migliora con il perdurare della loro permanenza in Italia.L'incremento del numero di stranieri non si e' dunque associato a un peggioramento delle opportunita' occupazionali degli italiani, sebbene emergano differenziazioni tra i segmenti della popolazione. ''Nostre analisi - evidenzia la Banca d'Italia - che tengono conto delle diverse caratteristiche individuali e dei mercati locali del lavoro evidenziano in particolare l'esistenza di complementarieta' tra gli stranieri e gli italiani piu' istruiti e le donne.Per queste ultime, la crescente presenza straniera attenuerebbe i vincoli legati alla presenza di figli e all'assistenza dei familiari piu' anziani, permettendo di aumentare l'offerta di lavoro.L'afflusso di lavoratori stranieri impiegati con mansioni tecniche e operaie puo', inoltre, aver sostenuto la domanda di lavoro per funzioni gestionali e amministrative, che richiedono qualifiche piu' elevate, maggiormente rappresentate tra gli italiani''.A partire dagli anni Novanta, si legge ancora nello studio, l'Italia e' divenuta meta di considerevoli flussi migratori dall'estero. La quota di popolazione immigrata e' passata dallo 0,6 per cento nel 1991 a quasi il 6 nel 2008.Nell'ultimo quinquennio il numero di stranieri residenti e' piu' che raddoppiato, portandosi a 3,4 milioni di persone.Sull'aumento hanno influito la regolarizzazione avviata nel 2002 che ha portato all'emersione di circa 650mila persone che gia' lavoravano in Italia e gli ingressi di cittadini europei divenuti comunitari recentemente.L'afflusso degli immigrati non ha interessato in maniera uniforme tutte le aree del Paese: l'incidenza della popolazione straniera e' oggi molto piu' elevata nel Centro Nord (quasi l'8 per cento) rispetto al Mezzogiorno (2,1 per cento). In Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna e Piemonte, dove si concentra il 45 per cento della popolazione italiana e si produce poco meno del 60 per cento del valore aggiunto nazionale, risiedono quasi il 70 per cento degli stranieri. L'afflusso di immigrati ha sostenuto la dinamica della popolazione residente, che tra il 2002 e il 2008 e' cresciuta del 4,6 per cento.

STRANIERI, REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE -11% RISPETTO A ITALIANI.

Secondo elaborazioni sull'Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia, i redditi da lavoro dipendente nel settore privato degli stranieri sono inferiori di circa l'11 per cento a quelli degli italiani. E' quanto si legge in uno studio della Banca d'Italia contenuto all'interno del rapporto sulle economie regionali del 2008.Il differenziale salariale, oltre al minore livello di istruzione degli stranieri, e' attribuibile anche a una maggiore concentrazione in settori di attivita' e mansioni meno qualificate e in imprese meno produttive. Le retribuzioni degli stranieri nel Mezzogiorno sono piu' basse di quelle al Centro Nord. Il livello di istruzione dei lavoratori stranieri e' in media inferiore a quello degli italiani.Nel 2008, secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell'Istat, i lavoratori stranieri residenti in Italia rappresentavano il 7,5 per cento dell'occupazione complessiva; al Centro Nord l'incidenza era superiore al 9 per cento, a fronte del 3 nel Mezzogiorno.Il tasso di occupazione degli stranieri in eta' lavorativa era pari al 67 per cento, 9 punti percentuali in piu' rispetto agli italiani. Il divario e' in parte riconducibile a caratteristiche individuali, quali la minore eta' media degli stranieri e la necessita' di avere un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno, in parte alla loro concentrazione nelle aree piu' sviluppate del Paese, dove e' piu' forte la domanda di lavoro. Il tasso di occupazione degli stranieri residenti nel Mezzogiorno era pari al 59 per cento, circa 9 punti percentuali in meno rispetto a quello del Centro Nord. E' ragionevole ipotizzare, si legge nello studio, che i piu' bassi tassi di occupazione nel meridione risentano della maggiore diffusione del lavoro sommerso e dei fenomeni di irregolarita'.

LA FOTOGRAFIA DEL LAVORATORE STRANIERO.

Nel 2008 gli occupati con cittadinanza estera di eta' compresa tra i 25 e i 65 anni in possesso al piu' di un titolo di studio corrispondente alla scuola media inferiore erano il 44 per cento, quasi 7 punti percentuali in piu' rispetto al corrispondente valore per gli italiani; quelli in possesso di una laurea erano circa il 13 per cento a fronte del 18 per gli italiani. Lo afferma uno studio della Banca d'Italia contenuto all'interno del rapporto sulle economie regionali del 2008.Il grado di istruzione degli stranieri e' inferiore nelle regioni meridionali, dove la quota di lavoratori immigrati in possesso di una laurea e' dell'8 per cento (5 punti in meno del Centro Nord) e la quota di stranieri con al massimo l'obbligo scolastico e' pari a circa il 65 per cento (13 punti in piu' che nel Centro Nord). Tali differenze sono riconducibili sia alle caratteristiche del sistema produttivo nelle due aree, sia ai divari in termini di rendimento dell'istruzione.Nel 2008, nelle regioni centro settentrionali oltre i tre quarti degli occupati stranieri erano operai, una percentuale piu' che doppia rispetto a quella degli italiani. Nel Mezzogiorno sono invece relativamente piu' diffusi gli stranieri che lavorano in proprio. Nel Centro Nord oltre il 40 per cento degli stranieri e' occupato nell'industria e nelle costruzioni. Nel Mezzogiorno, al contrario, l'occupazione straniera e' maggiormente concentrata nell'agricoltura, nel settore alberghiero e della ristorazione, nel commercio al dettaglio e nei servizi alle famiglie. All'interno dei diversi settori di attivita', gli stranieri tendono a svolgere mansioni a minore contenuto professionale e a lavorare in imprese meno produttive. Il 44 per cento degli immigrati e' impiegato in occupazioni non qualificate o semiqualificate (a fronte del 15 per cento degli italiani); tale percentuale sale a quasi il 60 per cento nel Mezzogiorno. Inoltre, secondo i dati dell'indagine condotta dalla Banca d'Italia su un campione di imprese industriali, la quota di stranieri extracomunitari e' piu' elevata nelle imprese piu' piccole, a piu' bassa produttivita' e meno aperte al commercio internazionale.
Dal notiziario ASCA del 18 Agosto 2009, http://www.asca.it/index.php


http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/ecore/sintesi/eco_reg_2008/economia_regioni_italiane_2008.pdf

L’ECONOMIA DELLE REGIONI ITALIANE
NELL’ANNO 2008

Nell’ultimo decennio l’aumento dell’occupazione, soprattutto nel Centro Nord, è stato sostenuto da rilevanti afflussi di immigrati dall’estero. Gli stranieri hanno oggi un tasso di occupazione superiore a quello degli italiani e redditi da lavoro significativamente inferiori. Un approfondimento illustra come a quest’ultimo fenomeno abbiano contribuito un più basso livello di scolarità degli immigrati, una maggiore concentrazione in imprese meno produttive, il prevalente utilizzo in mansioni a ridotto contenuto professionale. Gli stranieri residenti nel Mezzogiorno hanno un’istruzione, tassi di occupazione e redditi da lavoro inferiori rispetto a quelli del Centro Nord. La crescente presenza straniera non si è però riflessa in minori opportunità occupazionali per gli italiani, che al contrario, sembrano accresciute per gli italiani più istruiti e per le donne. In particolare, l’offerta di lavoro femminile italiana si è giovata dei maggiori servizi per l’infanzia e per l’assistenza agli anziani.

L’IMMIGRAZIONE NELLE REGIONI ITALIANE (∗)

(∗) A cura di Antonio Accetturo (Sede di Milano) e Sauro Mocetti (Sede di Bologna). Alcune delle evidenze riportate in questo approfondimento sono il risultato di lavori che fanno parte del progetto di ricerca “L’immigrazione in Italia: caratteristiche e conseguenze economiche”.

L’afflusso di immigrati dall’estero nell’ultimo decennio ha sostenuto la crescita dell’occupazione in Italia, contribuendo a contrastare il progressivo invecchiamento della popolazione. Gli stranieri hanno un tasso di occupazione superiore a quello degli italiani e percepiscono redditi da lavoro significativamente inferiori; a ciò contribuiscono un più basso livello di scolarità e una maggiore concentrazione in settori e mansioni a minore contenuto professionale e in imprese mediamente meno produttive. Gli stranieri residenti nel Mezzogiorno hanno un’istruzione, dei tassi di occupazione e dei redditi da lavoro inferiori a quelli del Centro Nord.
La crescita della presenza straniera non si è riflessa in minori opportunità occupazionali per gli italiani, che sembrano invece accrescersi per gli italiani più istruiti e per le donne. Le nuove generazioni di stranieri, che rappresenteranno una componente rilevante della futura forza lavoro nel Paese, registrano significativi tassi di abbandono scolastico e un livello di competenze inferiore a quello, già modesto nel contesto internazionale, degli italiani. Le difficoltà scolastiche degli stranieri sono più accentuate nel Mezzogiorno. Il processo di integrazione economico e sociale degli immigrati migliora con il perdurare della loro permanenza in Italia.

L’impatto demografico dell’immigrazione

A partire dagli anni novanta, l’Italia è divenuta meta di considerevoli flussi migratori dall’estero. La quota di popolazione immigrata è passata dallo 0,6 per cento nel 1991 a quasi il 6 nel 2008. Nell’ultimo quinquennio il numero di stranieri residenti è più che raddoppiato, portandosi a 3,4 milioni di persone. Sull’aumento hanno influito la regolarizzazione avviata nel 2002 che ha portato all’emersione di circa 650 mila persone che già lavoravano in Italia e gli ingressi di cittadini europei divenuti comunitari recentemente.
L’afflusso degli immigrati non ha interessato in maniera uniforme tutte le aree del Paese: l’incidenza della popolazione straniera è oggi molto più elevata nel Centro Nord (quasi l’8 per cento) rispetto al Mezzogiorno (2,1 per cento). In Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna e Piemonte, dove si concentra il 45 per cento della popolazione italiana e si produce poco meno del 60 per cento del valore aggiunto nazionale, risiedono quasi il 70 per cento degli stranieri.

I dati delle anagrafi comunali non includono gli stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale. Secondo la stima della fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità (Ismu), nel 2008 gli stranieri irregolari ammonterebbero a circa 650 mila. Una quota ampia della componente irregolare dell’immigrazione contribuisce all’attività economica del Paese: sulla base delle ultime stime dell’Istat, nel 2006 gli stranieri irregolarmente presenti nel nostro Paese contribuivano all’input di lavoro complessivo con circa 350.000 unità di lavoro, un valore in linea con quello dell’Ismu per quell’anno. In base ai dati Istat, l’indice di irregolarità (pari al rapporto tra il numero di istanze di regolarizzazione presentate nella sanatoria del 2002 e lo stock di permessi di soggiorno esistenti) era elevato nel Mezzogiorno e relativamente più contenuto nel Nord Est.

L’afflusso di immigrati ha sostenuto la dinamica della popolazione residente, che tra il 2002 e il 2008 è cresciuta del 4,6 per cento. Nel Mezzogiorno il saldo migratorio con l’estero ha compensato il deflusso dei residenti verso le aree più sviluppate del Paese. La crescita della popolazione al Centro Nord è stata trainata dall’ingresso di cittadini stranieri e, in misura più contenuta, dai flussi migratori interni provenienti dalle regioni meridionali, a fronte di un saldo naturale negativo.
Gli immigrati sono mediamente più giovani rispetto agli italiani: oltre l’80 per cento ha meno di 45 anni a fronte del 50 per cento della popolazione italiana; quelli con meno di 15 anni sono quasi il 20 per cento (meno del 14 per cento tra gli italiani). L’incidenza di questo secondo gruppo è piuttosto rilevante nel Nord, anche a causa di un maggiore radicamento del fenomeno migratorio in tale area.
La più giovane età degli immigrati e il maggiore tasso di fecondità contribuiscono a ridurre gli squilibri demografici connessi con l’invecchiamento della popolazione. Secondo le previsioni demografiche dell’Istat, la popolazione residente al Centro Nord potrebbe superare nel 2050 i 43 milioni di persone, circa il 12 per cento in più rispetto a quella attuale. All’aumento vi contribuirebbe unicamente la componente straniera, a fronte di un leggero calo della popolazione italiana. Il tasso di dipendenza, misurato dal rapporto tra la popolazione con oltre 65 anni e il numero di persone in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni), passerebbe dall’attuale 30 a circa il 58 per cento; in assenza del fenomeno migratorio aumenterebbe al 68 per cento. Nel Mezzogiorno, invece, il contributo dell’immigrazione sarebbe molto più scarso e si accompagnerebbe a un calo della popolazione; il tasso di dipendenza si porterebbe a quasi il 70 per cento, pressoché in linea con quanto avverrebbe in assenza dei flussi migratori previsti.

L’occupazione straniera e l’impatto sui mercati locali del lavoro

Nel 2008, secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, i lavoratori stranieri residenti in Italia rappresentavano il 7,5 per cento dell’occupazione complessiva; al Centro Nord l’incidenza era superiore al 9 per cento, a fronte del 3 nel Mezzogiorno.
Il tasso di occupazione degli stranieri in età lavorativa era pari al 67 per cento, 9 punti percentuali in più rispetto agli italiani. Il divario è in parte riconducibile a caratteristiche individuali, quali la minore età media degli stranieri e la necessità di avere un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno, in parte alla loro concentrazione nelle aree più sviluppate del Paese, dove è più forte la domanda di lavoro. Il tasso di occupazione degli stranieri residenti nel Mezzogiorno era pari al 59 per cento, circa 9 punti percentuali in meno rispetto a quello del Centro Nord. È ragionevole ipotizzare che i più bassi tassi di occupazione nel meridione risentano della maggiore diffusione del lavoro sommerso e dei fenomeni di irregolarità.

Elaborazioni sui dati dell’Ismu, disponibili per la sola Lombardia, mostrano una notevole differenza nei tassi di occupazione femminili a seconda del paese di origine. L’incidenza delle donne occupate è particolarmente alta per quelle originarie dei paesi dell’Europa centro orientale (comunitarie o extracomunitarie) e dell’America centro meridionale; notevolmente più bassa per le donne del Nord Africa, del Medio e Vicino Oriente e dell’Asia centrale.

Secondo elaborazioni sull’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia, i redditi da lavoro dipendente nel settore privato degli stranieri sono inferiori di circa l’11 per cento a quelli degli italiani. Il differenziale salariale, oltre al minore livello di istruzione degli stranieri, è attribuibile anche a una maggiore concentrazione in settori di attività e mansioni meno qualificate e in imprese meno produttive. Le retribuzioni degli stranieri nel Mezzogiorno sono più basse di quelle al Centro Nord.
Il livello di istruzione dei lavoratori stranieri è in media inferiore a quello degli italiani. Nel 2008, gli occupati con cittadinanza estera di età compresa tra i 25 e i 65 anni in possesso al più di un titolo di studio corrispondente alla scuola media inferiore erano il 44 per cento, quasi 7 punti percentuali in più rispetto al corrispondente valore per gli italiani; quelli in possesso di una laurea erano circa il 13 per cento a fronte del 18 per gli italiani. Il grado di istruzione degli stranieri è inferiore nelle regioni meridionali, dove la quota di lavoratori immigrati in possesso di una laurea è dell’8 per cento (5 punti in meno del Centro Nord) e la quota di stranieri con al massimo l’obbligo scolastico è pari a circa il 65 per cento (13 punti in più che nel Centro Nord). Tali differenze sono riconducibili sia alle caratteristiche del sistema produttivo nelle due aree, sia ai divari in termini di rendimento dell’istruzione.

Nostre elaborazioni sulla base dei dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie e dell’Ismu mostrano che i rendimenti dell’istruzione e dell’esperienza lavorativa conseguite nel paese di origine sono positivi, ma significativamente inferiori a quelli dei lavoratori italiani con caratteristiche simili. Inoltre, i rendimenti dell’istruzione per gli stranieri insediati al Centro Nord sono superiori a quelli del Mezzogiorno. Il processo di integrazione e assimilazione delle competenze si rafforza all’aumentare della permanenza; la retribuzione degli stranieri, pur restando inferiore a quella dei lavoratori italiani, crescerebbe infatti più rapidamente per ogni anno di esperienza maturata in Italia.

Nel 2008, nelle regioni centro settentrionali oltre i tre quarti degli occupati stranieri erano operai, una percentuale più che doppia rispetto a quella degli italiani. Nel Mezzogiorno sono invece relativamente più diffusi gli stranieri che lavorano in proprio. Nel Centro Nord oltre il 40 per cento degli stranieri è occupato nell’industria e nelle costruzioni. Nel Mezzogiorno, al contrario, l’occupazione straniera è maggiormente concentrata nell’agricoltura, nel settore alberghiero e della ristorazione, nel commercio al dettaglio e nei servizi alle famiglie. All’interno dei diversi settori di attività, gli stranieri tendono a svolgere mansioni a minore contenuto professionale e a lavorare in imprese meno produttive. Il 44 per cento degli immigrati è impiegato in occupazioni non qualificate o semiqualificate (a fronte del 15 per cento degli italiani); tale percentuale sale a quasi il 60 per cento nel Mezzogiorno. Inoltre, secondo i dati dell’indagine condotta dalla Banca d’Italia su un campione di imprese industriali, la quota di stranieri extracomunitari è più elevata nelle imprese più piccole, a più bassa produttività e meno aperte al commercio internazionale.

Emergono inoltre specializzazioni etniche nelle occupazioni. Tra le comunità più importanti, oltre il 40 per cento degli uomini provenienti dai paesi della ex Jugoslavia e dalla Romania lavora nel settore delle costruzioni; percentuali analoghe di africani lavorano nell’industria, di immigrati dall’Asia Occidentale nel commercio e nella ristorazione; un indiano su quattro lavora nell’agricoltura. Per la componente femminile, emerge una forte specializzazione nei servizi sociali e alle famiglie, dove lavorano intorno al 70 per cento delle donne ucraine, ecuadoriane e peruviane, e oltre l’80 per cento delle cingalesi e filippine. Il processo di segmentazione per etnia sul mercato del lavoro rifletterebbe anche effetti di network. Tali specializzazioni avrebbero effetti, a loro volta, sulla distribuzione geografica degli stranieri: la domanda di lavoro domestico è, per esempio, più marcata nelle grandi aree metropolitane e nelle regioni con una maggiore incidenza di popolazione anziana.

La rapida crescita della popolazione straniera ha determinato anche un aumento della quota di imprese individuali gestite da immigrati: alla fine del 2008 quelle con un titolare extracomunitario erano oltre 240 mila, pari al 7 per cento del totale delle imprese attive (4,4 per cento nel Mezzogiorno, a fronte di valori superiori all’8 nelle altre aree del Paese). Le ditte straniere registrerebbero, inoltre, maggiori difficoltà di accesso al credito rispetto a quelle costituite da italiani.

Analisi condotte in Banca d’Italia indicano che il costo del credito per le ditte individuali costituite da extracomunitari è, a parità di caratteristiche dell’impresa e dell’imprenditore, superiore di circa 60 punti base a quello per le ditte costituite da nati in Italia. Il differenziale tra i tassi praticati agli imprenditori immigrati e a quelli italiani è superiore per le ditte insediate al Centro Nord. L’aumento della lunghezza del periodo trascorso dal primo accesso dell’impresa al sistema bancario comporta una diminuzione del differenziale di costo applicato alle ditte di immigrati rispetto alle altre, suggerendo che possa riflettere una maggiore difficoltà iniziale nella valutazione del merito di credito. Tutti i tipi di banche praticano tassi di interesse più elevati alle ditte individuali straniere, sebbene le banche di credito cooperativo operino delle maggiorazioni relativamente più contenute; tali banche potrebbero risultare avvantaggiate nell’interagire con imprese la cui valutazione del rischio è largamente basata su informazione non codificabile e sarebbero quindi in grado di selezionare meglio la clientela. Il differenziale di costo varia anche a seconda del continente d’origine: è più alto per gli immigrati provenienti dall’Asia e dall’Europa dell’Est.

L’incremento del numero di stranieri non si è associato a un peggioramento delle opportunità occupazionali degli italiani, sebbene emergano differenziazioni tra i segmenti della popolazione. Nostre analisi che tengono conto delle diverse caratteristiche individuali e dei mercati locali del lavoro, evidenziano in particolare l’esistenza di complementarietà tra gli stranieri e gli italiani più istruiti e le donne. Per queste ultime, la crescente presenza straniera attenuerebbe i vincoli legati alla presenza di figli e all’assistenza dei familiari più anziani, permettendo di aumentare l’offerta di lavoro. L’afflusso di lavoratori stranieri impiegati con mansioni tecniche e operaie può, inoltre, aver sostenuto la domanda di lavoro per funzioni gestionali e amministrative, che richiedono qualifiche più elevate, maggiormente rappresentate tra gli italiani.

Nelle regioni del Centro Nord, maggiormente interessate dall’immigrazione dall’estero è aumentato l’afflusso di italiani laureati, a fronte di una modesta riduzione di quelli con un titolo di studio più basso. Per quest’ultimo effetto, la maggiore concentrazione degli stranieri nelle regioni centro settentrionali ha incontrato una domanda di lavoro, prevalentemente nel settore industriale, che in passato era soddisfatta dall’immigrazione interna dal Mezzogiorno.

La situazione scolastica dei giovani stranieri

I ricongiungimenti familiari e i più elevati tassi di fecondità delle donne straniere hanno determinato un forte aumento del numero dei giovani stranieri. Nell’anno scolastico 2007-08 gli alunni con cittadinanza non italiana erano circa 570 mila, pari al 6,4 per cento del totale; l’incidenza era più elevata al Nord (oltre il 10 per cento). Quelli nati in Italia erano circa un terzo. Il grado di integrazione scolastica degli studenti stranieri si rifletterà sulla qualità del capitale umano disponibile nei prossimi anni nel nostro Paese. Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro, circa uno straniero su quattro di età compresa tra i 15 e i 19 anni ha abbandonato la scuola con al più la licenza di terza media, una percentuale significativamente superiore a quella degli italiani (12 per cento); nel Mezzogiorno la percentuale degli abbandoni è ancora più elevata (circa uno tre). Quasi uno su due ha accumulato un ritardo nella scuola secondaria inferiore, una percentuale circa cinque volte superiore a quella degli italiani. Tra i giovani stranieri, quelli nati all’estero hanno una probabilità di essere in ritardo doppia rispetto a quelli nati in Italia, evidenziando le maggiori difficoltà di apprendimento e di integrazione degli immigrati di prima generazione. Tra gli iscritti alla secondaria superiore, in entrambe le aree del Paese emerge la tendenza degli stranieri a iscriversi negli istituti tecnici o professionali (tre su quattro a fronte di circa la metà degli italiani).
Il ritardo degli studenti stranieri rispetto agli italiani, e le maggiori difficoltà di quelli residenti nel Mezzogiorno, sono confermati anche dai dati dell’indagine Programme for international student assessment (PISA) che misura le competenze degli studenti quindicenni. L’obiettivo principale della terza edizione dell’indagine, condotta nel 2006 dall’OCSE, era la rilevazione delle competenze scientifiche. Quasi uno studente straniero su due aveva scarse competenze a fronte del 23 per cento per gli studenti italiani, un’incidenza già superiore a quella della media OCSE. Gli stranieri di prima generazione (giovani nati all’estero da genitori stranieri) hanno in media competenze inferiori rispetto a quelli di seconda generazione (giovani nati in Italia da genitori stranieri). Come per gli italiani, il Mezzogiorno mostra un’incidenza di studenti stranieri con scarse competenze significativamente superiore a quella delle restanti aree del Paese: quasi tre su quattro a fronte di circa il 40 per cento nel Centro Nord.Nostre elaborazioni mostrano che il divario territoriale dei giovani stranieri in termini di tassi di abbandono e livello delle competenze acquisite non si riduce in misura significativa se si considera il diverso background della famiglia d’origine.

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